Nel 1952, in occasione delle celebrazioni per il quinto centenario dalla nascita di Leonardo da Vinci, Giorgio Nicodemi, alla guida dei civici musei d’arte milanesi dal 1928 ai primi anni quaranta [1], pubblicava un accurato studio sul Cenacolo [2]. Nel suo lavoro, da cui prenderemo convenzionalmente le mosse come interessante precedente critico-celebrativo per introdurre la presente iniziativa di studio ed espositiva, oltre a ripercorrere le tappe più significative della storia di questa pittura, dedica molto spazio all’analisi delle copie intese come strumento di divulgazione di modelli da porre in relazione con la fortuna dell’artista, la storia del gusto estetico e le vicende del collezionismo. Nicodemi comprende appieno l’importanza dell’invenzione di Leonardo riconoscendone la forza comunicativa, anche in un puro senso religioso grazie a un’iconografia universalmente riconosciuta.
Pochi sono i capolavori che possono vantare una simile notorietà senza limiti geografici o temporali e il Cenacolo tra questi occupa un posto particolare. Per usare qui le parole di Nicodemi [3], l’Ultima Cena è sempre stata celebre e, non appena comparsa sulla scena artistica, suscitò subito nei contemporanei "il desiderio di possedere immagini che potessero suggerirne il ricordo e commuovere con i sentimenti religiosi che lo ispirano, di qui discese il bisogno delle copie", riproduzioni spesso piuttosto scadenti, realizzate con tecniche diverse, dalla pittura, alla scultura, dal mosaico alla tappezzeria, dal vetro dipinto all’incisione fino alla più moderna fotografia. Copie, complete o parziali tratte da altre copie, generalmente poco fedeli all’originale nelle quali l’innovazione del linguaggio è completamente perduta, succedutesi ininterrottamente dal XVI secolo fino ad oggi, tra fedeltà e volgarizzazione [4]. La fortuna del Cenacolo vinciano, a cui Pietro Marani ha dedicato approfondite ricerche, è attestata, in misura anche maggiore rispetto ad altri celebri soggetti dell’arte figurativa, da tutte le opere di grandi artisti che ne sono stati variamente influenzati: solo per citarne alcuni, l’Ultima Cena dell’Escorial di Tiziano, quella di Andrea del Sarto nel convento di San Michele a San Salvi a Firenze, il gruppo dei beati di Michelangelo nel Giudizio universale nella Cappella Sistina, che rielaborano le figure di Matteo, Filippo e Andrea [5]. Venendo a tempi più recenti, non può mancare la citazione della notissima serie del 1986 del progetto The Last Supper di Andy Warhol, di cui fa parte il dipinto monumentale Sixty Last Suppers, straordinaria rivisitazione in chiave pop del Cenacolo [6].
Tornando all’originale, la grande ammirazione che questa composizione ha sempre suscitato è stata subito accompagnata dalla preoccupazione per la sua precaria consistenza conservativa. Se nel 1498 Fra Luca Pacioli, nella sua Divina porportione dedicata a Lodovico il Moro, ha parole di ammirazione e stupore per l’Ultima Cena [7], già nel 1517 Antonio de Beatis, canonico al servizio del cardinale Luigi d’Aragona, tessendone le lodi si rammarica perché l’umidità del muro lo sta danneggiando e ancora lo stesso Giorgio Vasari scrive che il Cenacolo "è tanto male condotto che non si scorge più se non una macchia abbagliata" [8]. Nel 1770 il pittore irlandese James Barry, dopo aver visitato il refettorio ed aver visto l’intervento di restauro (o di distruzione come lo definisce l’artista) che si stava compiendo, dichiarava che "oggi questa gloriosa opera di Leonardo non è più" [9]. Meta imprescindibile del Grand Tour, il Cenacolo alimenta sia interesse culturale, sia le preoccupazioni per la sua salvaguardia. È anche in questa dimensione che si deve guardare alle riproduzioni del Cenacolo non solo come souvenirs, ma anche come testimonianze del progressivo deterioramento dell’opera e dei tentativi di preservarla. Sempre Nicodemi [10] vede già nella replica eseguita a olio su tela [11] da Andrea Bianchi detto il Vespino su incarico del Cardinale Federico Borromeo, la prima copia di interesse filologico. L’idea che il Cenacolo, ormai irrimediabilmente deteriorato, possa essere restituito alla pubblica fruizione solo attraverso un’attenta e metodica analisi delle copie comincia a prendere piede nel XVIII secolo e il primo ad affrontare il problema in tale prospettiva è probabilmente l’abate olivetano Francesco Maria Gallarati nel 1769 nel suo studio Descrizione ragionata del celebre Cenacolo dipinto dal Ristoratore delle belle arti Leonardo da Vinci [12]. L’autore, afflitto per la possibilità di perdere "un ornamento e splendore della nostra città [Milano] si accinge a rinnovarla in miniature, usando ogni diligenza, acciocché essa corrispondesse all’antico suo originale". Fonte sicura dello stato della Cena alla fine del Settecento è un disegno di André Dutertre [13]. Incaricato nel 1789 da Luigi XVI di farne una copia, l’artista termina il lavoro nel 1794: la sua ricostruzione è estremamente dettagliata ed è la sola a rispecchiarne lo stato di conservazione prima dei gravissimi danni risalenti al momento dell’occupazione militare francese. Dutertre non si è limitato a copiare, si è documentato su altre copie e riproduzioni, riuscendo tra l’altro a ricostruire la parte della composizione sottostante la figura di Gesù, andata persa nel secolo precedente per l’ampliamento della porta al centro della parete, il disegno della tovaglia e delle vettovaglie, la forma e la posizione dei piedi, le lastre del pavimento, e a ipotizzare, per il disegno degli arazzi alle pareti, un motivo a carattere floreale molto particolare, ormai non più visibile ai suoi tempi [14]. Ornato che si è rivelato simile al disegno originario apparso dopo l’intervento di restauro di Pinin Brambilla Barcilon [15].
Per secoli la lettura dell’Ultima Cena è stata quindi affidata a riproduzioni e repliche, a stampe di traduzione e, in tempi più recenti, alla fotografia che, di volta in volta, ci ha mostrato un’immagine del Cenacolo mai uguale in conseguenza degli interventi di manutenzione. Nicodemi pubblica una riproduzione fotografica [20] nella quale, confrontando fotografie e riproduzioni, grazie all’ausilio delle nuove tecniche grafiche utilizzate dall’editore d’arte Emilio Bestetti (1870-1954), tenta un esperimento di restituzione dei colori antichi (fig. 1). Oggi si assiste a una sua rilettura alla luce di nuove tecniche artistiche - come nel caso de La visione ritrovata di Federico Bozzano Alliney - o attraverso visioni laiche e non di rado dissacranti. La più celebre, già citata, è quella di Andy Warhol, ma le rivisitazioni contemporanee del Cenacolo sono tantissime, basti ricordare lo scatto provocatorio del fotografo David LaChapelle, il Some Living American Artists del 1972 di Mary Beth Edelson, la Black Supper di Andrea Serrano del 1990 [21], l’immagine pubblicitaria-promozionale del 2005 della fotografa Brigitte Niedermair e l’Ultima Cena interattiva del regista Peter Greenaway che coinvolge gli spettatori in una performance teatrale. Opere, queste ultime, che se da una parte esaltano la potenza insuperata dell’Ultima Cena di Leonardo, dall’altra ci fanno comprendere come lo sfruttamento intensivo della sua immagine l’abbia a tal punto snaturata dei suoi significati originari da renderla un mito da commerciare in strada al pari dell’immagine di Marilyn Monroe, del Che Guevara o di Jimi Hendrix (fig. 2).