INTORNO A LEONARDO
Opere grafiche dalle collezioni milanesi
Milano, Castello Sforzesco, Sala dei Ducali
11 settembre – 15 dicembre 2019
A cura di Giovanna Mori e Alessia Alberti
INTORNO A LEONARDO
Attraverso una selezione di opere provenienti da tre importanti Istituti milanesi – Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Raccolta delle Stampe “A. Bertarelli” e Gabinetto dei Disegni, questi ultimi presso il Castello Sforzesco – questa piccola rassegna intende offrire qualche spunto di riflessione su alcuni soggetti ampiamente trattati da Leonardo da Vinci.
La grande fortuna che da subito ha incontrato l’opera del maestro è testimoniata da una impressionante quantità di opere ispirate alle sue ricerche o derivate dai suoi disegni, soprattutto su quegli argomenti che più spesso sono stati oggetto di studio da parte di Leonardo.
Apre l’esposizione la delicata e sensuale Testa di Leda, capolavoro a matita a rossa di Leonardo, segnato dal tempo e dall’intervento di ripassatura di un allievo.
I motivi delle “teste caricate” e delle “teste grottesche” ad esempio, così reiterate sulle carte leonardesche, risultano essere presto motivo di curiosità e di interesse per molti artisti che ne hanno tratto spunto, in qualche caso per opere di mera trascrizione, ma che più spesso hanno rielaborato attraverso una personale rivisitazione.
Lo studio sui cavalli, motivato dalle diverse composizioni leonardiane in cui compare l’animale, è qui testimoniato da rarissime incisioni, di cui in un caso sopravvive l’originale disegno di Leonardo, quasi a voler fissare, e quindi diffondere attraverso la tecnica della stampa, l’originale soluzione elaborata dal maestro.
Un’attenzione particolare meritano le tre magnifiche incisioni a bulino che propongono uno sviluppo del tema dei nodi, chiaramente da leggersi in relazione con la decorazione della volta della vicina Sala delle Asse. L’intreccio delle corde e l’aperta, quanto misteriosa scritta che fa riferimento all’Achademia Leonardi Vinci, sono stati all’origine di numerosi studi e ipotesi sul possibile significato tanto del motivo iconografico come dell’iscrizione.
Anche se rimane sconosciuta ad oggi l’identità degli autori di queste incisioni, la bellezza delle geometrie e la raffinata calligrafia, portano a credere che questi avessero operato a stretto contatto con il maestro, probabilmente servendosi direttamente di modelli di Leonardo, ora perduti.
IL MITO DI LEDA
Leonardo ha trattato il mito di Leda in diversi disegni, immaginando la figura della giovane regina, moglie di Tindaro re di Sparta, in posizione eretta oppure inginocchiata. Per amore di Leda, Giove si era trasformato in cigno e nelle sembianze di tale animale si era congiunto a lei. Dalla loro unione sarebbero nate una o due uova (secondo le varianti del mito).
Il disegno qui esposto costituiva uno studio per il volto nella versione della Leda stante, così come Leonardo lo aveva fissato in un dipinto che le fonti ricordano in Francia ancora all’inizio del Seicento, ma che in seguito è andato perduto. I disegni superstiti per questa composizione, per lo più relativi alla sofisticata acconciatura della fanciulla e alla vegetazione, sono circoscrivibili al 1504-1506.
Di questo originale resterebbe traccia in alcune copie pittoriche che ne furono tratte già nel Cinquecento. Tra queste una delle più antiche, opera di un artista vicino al maestro, è oggi conservata agli Uffizi.
Il confronto con il dipinto permette di sciogliere l’enigmatica espressione del volto, dove la sensualità che è peculiare di questa figura mitologica si risolve in una dolcezza profonda, immortalando l’istante in cui avviene la schiusa delle uova, e Leda assiste, accanto a Giove, alla nascita dei figli.
Presso il Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco, dove è custodito lo Studio per la testa di Leda, è stato di recente individuato ed attribuito all’allievo di Leonardo Francesco Melzi, uno studio a matita rossa per l’Anemone nemorosa che nel quadro è visibile in basso a sinistra.
I NODI VINCIANI
I tre fogli qui esposti fanno parte di una serie di sei opere, tra loro omologhe per soggetto e per formato, conosciute come Nodi vinciani o anche con il titolo Achademia Leonardi Vinci, che si legge (per quanto espressa sempre in forma diversa) sulle stesse.
Tra i molteplici ambiti a cui Leonardo si è applicato nel corso della sua vita non vi sono al momento prove del fatto che sia stato anche un incisore. Tuttavia il suo nome è presente su queste stampe, per le quali aveva probabilmente fornito i modelli a incisori di professione, come avevano fatto prima di lui anche artisti come Andrea Mantegna e Donato Bramante.
La tecnica dell’incisione di immagini su lastre di rame, che poi venivano inchiostrate e stampate, richiedeva infatti un lungo apprendistato prima di padroneggiare lo strumento orafo che veniva utilizzato a questo scopo, il bulino.
Molto è stato scritto, dal Seicento in avanti, a proposito dell’esistenza di un’accademia legata a Leonardo durante il periodo milanese, ma al momento la sola fonte antica che ne faccia menzione è proprio questa serie di incisioni.
Resta pertanto un enigma non soltanto il significato della scritta, ma anche la funzione stessa di queste immagini, la cui produzione è da riconsiderare nel quadro europeo degli inizi della stampa ornamentale, che a quest’altezza vanta già importanti precedenti in ambito fiorentino.
I nodi o “gruppi” sono un soggetto del quale Leonardo ha lasciato numerose interpretazioni a disegno. Anche lo storico Giorgio Vasari li ricorda: “Oltre che perse tempo fino a disegnare gruppi di corde fatti con ordine, e che da un capo seguissi tutto il resto fino a l’altro, tanto che s’empiessi un tondo, che se ne vede in istampa uno difficilissimo e molto bello, e nel mezzo vi sono queste parole: Leonardus Vinci Accademia”.
Gli studi più recenti sembrano concordi nel collocare la realizzazione delle sei incisioni verso la metà degli anni Novanta del Quattrocento, dunque in anticipo rispetto alla decorazione della volta della Sala delle Asse, dove in qualche caso si possono riscontrare i medesimi tracciati.
“TESTE CARICATE” E “TESTE GROTTESCHE”
Per Leonardo i volti umani e le loro espressioni sono stati sicuramente fonte di profondo interesse e studio, e i numerosi artisti che nel tempo hanno tratto ispirazione dai lavori del maestro hanno declinato questo tema in una impressionante quantità e varietà di interpretazioni.
All’interno dell’opera di Leonardo si può fare una distinzione tra le “teste caricate”, dove l’artista si è limitato appunto a “caricare”, accentuare alcuni aspetti per rendere più evidenti i tratti caratteriali del personaggio e le sue inclinazioni, e le “teste grottesche”, dove l’indagine è concentrata invece sulla deformazione.
Nel solco della tradizione delle “teste caricate” si può leggere il penetrante ritratto maschile, un volto barbuto con l’espressione accigliata, attribuito a Giovanni Agostino da Lodi, un artista attivo tra Venezia e Milano tra la fine del Quattro e il primo quarto del Cinquecento (n. 6).
Costituisce invece un tipico esempio dell’ampia diffusione delle “teste grottesche” la curiosa coppia di personaggi nel disegno, già attribuito a Wenzeslaus Hollar, mai esposto prima e fino a qui inedito (n. 5). Assemblate dagli artisti a formare delle coppie, le “teste bizzarre” (come le aveva chiamate Giorgio Vasari) hanno conosciuto un grande successo sino dal Cinquecento, non solo in ambito lombardo, dove si trovavano i disegni di Leonardo, riportati in Italia dopo la sua morte dall’allievo ed erede Francesco Melzi, ma anche nelle incisioni fiamminghe, già a partire dalla metà del XVI secolo.
LE FILIGRANE
Fino dal medioevo, quando è iniziata la produzione di carta in Europa, i fogli venivano contrassegnati dalla filigrana, ossia il marchio che ne identificava il centro o l’officina di produzione.
A differenza dei moderni loghi si trattava però di un marchio “celato”, che risulta visibile solo quando la carta viene esaminata in controluce.
Per gli studiosi la filigrana costituisce un’utile traccia per mettere a fuoco l’area di produzione del materiale di supporto di stampe e disegni, proprio perché ogni manifattura si contraddistingueva tramite il proprio motivo figurativo. A tale scopo, sino dal primo Novecento sono stati redatti utilissimi repertori che illustrano le principali filigrane, corredate da informazioni sulle aree geografiche di fabbricazione e sulle relative cronologie.
All’interno del corpus delle opere di un incisore è frequente che ricorrano le stesse filigrane, per l’utilizzo di carte della medesima provenienza. È il caso, ad esempio, delle opere qui esposte con i nn. 8 e 9, entrambe riferibili all’ambito di Giovanni Antonio da Brescia, dove, nonostante le ridotte dimensioni del foglio, si è fortunatamente rilevata la presenza di una filigrana del tipo che nei repertori è stato individuato come “globo e croce”, spesso ricorrente nei lavori legati al nome di questo artista.
È interessante anche il caso della piccola incisione con studi per un monumento equestre (n. 7), giunta purtroppo in condizioni frammentarie, dove si evidenzia, ancorché solo parzialmente, un’elaborata filigrana del tipo dell’“alta corona”.
Per analogia con altri esemplari pervenuti nella loro interezza possiamo immaginare che tale disegno, documentato in area tedesca dagli anni Novanta del Quattrocento e in Italia, a Bergamo, al principio del Cinquecento, dovesse terminare alla sommità con una croce.
STUDI SUI CAVALLI
I soggetti delle tre rarissime incisioni a bulino con studi di cavalli che vengono qui esposte (nn. 7, 8, 9) sembrano essere in relazione con i progetti per il monumento equestre commissionato da Ludovico il Moro a Leonardo, che vi lavorò dal 1488 al 1497 almeno.
La monumentale scultura bronzea avrebbe dovuto celebrare la figura del padre del duca, il condottiero Francesco Sforza, fondatore della dinastia sforzesca.
La prima stampa (n. 7), purtroppo frammentaria, riproduce due delle ipotesi che erano state formulate da Leonardo nella prima versione del progetto (prima del 1489), con un cavaliere su un cavallo impennato che atterrava un fante. Scartata questa soluzione, dopo il 1489 Leonardo considerò un tipo di immagine più classica, con un cavallo al passo, ispirato al Marco Aurelio in Campidoglio e al Regisole già a Pavia, come si può vedere nell’ultima incisione esposta (n. 9).
Ciò che colpisce, anche per queste opere, è la rarità degli esemplari che sono giunti sino a noi, segno probabilmente di tirature molto limitate, ma anche della fortuna incontrata da questi fogli presso gli artisti. Tra Quattro e Cinquecento era comune infatti impiegare nelle botteghe le stampe come modelli attraverso tecniche come il ricalco e lo spolvero, che con il tempo ne hanno causato la perdita.